FOCUS: indebolimento usd dovrebbe continuare, ma non è il caso di allarmarsi (Pictet AM)

MILANO (MF-NW)--Da inizio anno, l’indice del dollaro è sceso di oltre 11 punti percentuali. Il cambio euro/usd ha guadagnato il 14%, passando da 1,035 a 1,18 in sei mesi. "Guardando al futuro, ci aspettiamo che il biglietto verde continuerà a oscillare attorno ai livelli medi registrati nei primi sei mesi del 2025, con il rischio di un ulteriore indebolimento e pochi fattori che possano favorire un ritorno ai livelli di forza del 2024", afferma Andrea Campisi, senior investment manager di Pictet Asset Management.

LE RAGIONI DI RIBASSO NEL BREVE TERMINE..

"A partire da fine 2023 sosteniamo l’imminente fine del secolare ciclo rialzista del dollaro, che risultava sopravvalutato", sottolinea Campisi. Tuttavia, secondo l'esperto, "il grosso del movimento è già avvenuto", alla luce del fatto che un rafforzamento dell’euro fino a quota 1,20 rappresenta "la soglia di sostenibilità della valuta", come indicato anche dalla Banca Centrale Europea. La principali cause di debolezza del dollaro, spiega Campisi, sono imputabili alle incertezza che circondando l’amministrazione americana. Incertezze legate a una politica commerciale "azzardata", a avvisaglie di indebolimento economico, al rallentamento del settore manifatturiero, al timore di un governatore ombra della Fed più dovish e all'incognita sulla sostenibilità del debito pubblico. A conferma di questa dinamica, il dollaro continua a indebolirsi rispetto all’euro anche se il differenziale dei tassi d’interesse tra Stati Uniti e Unione europea si è ampliato a favore della valuta americana. "È il premio per l'imprevedibilità politica, il costo dell’incertezza", sottolinea il manager. In altre parole, l’instabilità interna agli Usa sta pesando più della convenienza monetaria.

L'OBIETTIVO DELL'AMMINISTRAZIONE TRUMP

"Rispetto ai suoi livelli storici, il dollaro è al momento ancora leggermente apprezzato rispetto al suo valore storico. Il movimento cui assistiamo, seppur brusco, è un ritorno alla media. Non è però il caso di fare facili allarmismi poichè il biglietto verde resta comunque la principale valuta nelle riserve estere e nelle transazioni globali", avverte l'esperto. Il dollaro rappresenta infatti il 59% delle riserve valutarie globali. La seconda moneta è l'euro, con il 20%. Inoltre, il 64% del debito mondiale è denominato in dollari. "Governi e società straniere prendono in prestito denaro in usd per assicurare i propri creditori contro il rischio di cambio", evidenzia Campisi. Infine, il biglietto verde rappresenta una quota significativa dei pagamenti internazionali (il 58% escludendo i pagamenti all'interno dell'Eurozona) e delle transazioni in valuta estera (l'usd è utilizzato in oltre il 50% delle fatture per il commercio estero a livello globale). Per il manager, l’obiettivo dell’amministrazione Trump è un dollaro "più fair", senza però far perdere alla divisa americana la sua rilevanza a livello internazionale. Un obiettivo che "si sta almeno in parte realizzando".

COSA FARE IN UNA FASE DI USD DEBOLE

Il rischio valutario è insito in qualsiasi investimento al di fuori del proprio Paese, specie azionario, sottolinea Campisi. L’esposizione al mercato azionario Usa, "il più efficiente e performante", implica di per sé la scelta di esporsi al dollaro statunitense. "Visto il movimento già registrato da inizio anno, al momento non è da ritenersi vincente una strategia finalizzata a modificare il proprio portafoglio per limitare l’impatto del dollaro, che potrebbe sì deprezzarsi ancora di qualche punto, ma non ci attendiamo movimenti estremi", prosegue l'esperto. Può invece essere "lungimirante" diversificare il proprio portafoglio al di fuori degli Stati Uniti, orientandosi su asset di diversa valuta o prezzate in euro. L’esposizione azionaria a cambio coperto può essere adottata per una parte del portafoglio, ricordandosi che le coperture sul cambio, implicano un costo (il costo di hedging al momento si aggira in area 2,5-3% l’anno).

LA DIVERSIFICAZIONE PERMETTE DI RIDURRE IL RISCHIO DI CAMBIO

"Nel contesto di debolezza del dollaro, la diversificazione del portafoglio sulle asset class globali permette di ridurre il rischio cambio e giovare dei ritorni storicamente superiori di questa fase rispetto al mercato", osserva il manager. Nello specifico, secondo Campisi, le asset class da privilegiare sono le obbligazioni dei paesi sviluppati, emergenti in valuta locale, l’azionario globale e le materie prime dei metalli preziosi. "I titoli European Union bond e titoli governativi in euro offrono un mix di liquidità e diversificazione, giovano del trend di compressione degli spread intra-europei e offrono un ottimo rendimento aggiustato per la volatilità", evidenzia l'esperto, aggiungendo che i tratti a 5 e 7 anni della curva offrono il miglior rendimento atteso con una maggior difesa dai movimenti della curva e sono, quindi, preferite. Guardando al di fuori dell'Europa, le obbligazioni emergenti in valuta locale hanno a sostegno elementi macro, tecnici e di valutazione. "Le tariffe, il calo dell’export e domanda interna sostengono il trend disinflazionistico; inoltre, l’asset class è stata oggetto di deflussi che riducono il rischio di maggiore volatilità e un dollaro debole favorisce i ritorni in ottica di medio periodo", spiega il manager, evidenziando che le azioni globali, in particolare quelle europee ed emergenti, dato il contesto di stimoli fiscali, sono da preferirsi data la rotazione a favore del resto del mondo da parte degli investitori e la riduzione d’incertezza sulle negoziazioni commerciali. Infine, "le materie prime dei metalli preziosi sono sempre più impiegate come bene rifugio da parte degli investitori ed in particolare l’oro ha visto crescere la sua percentuale di detenzione da parte delle banche centrali (in particolare emergenti) a sfavore del dollaro americano, sostenendo l’asset class", conclude Campisi.

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0911:24 lug 2025